Tra tutti i compositori classici europei, quello che gode di maggiore popolarità tra i jazzisti è certamente Johann Sebastian Bach. Proviamo a rispondere a questa domanda: perché ai jazzisti piace tanto Bach?
Molti jazzisti si sono confrontati con la musica di Bach: dal Modern Jazz Quartet a Bud Powell, da Dave Brubeck a Bill Evans. Molti pianisti jazz hanno un background classico, ma il rapporto con Bach sembra esser privilegiato, più di quello con altri compositori altrettanto importanti. Proviamo dunque a spiegare perché ai jazzisti piace tanto Bach.
1. Tema e variazioni
Un primo elemento comune tra la musica di Bach ed il jazz risiede nel principio della variazione. Tanto una fuga quanto un improvvisazione nascono con la volontà di sviluppare un tema iniziale ed esplorarne tutte le possibilità.
Molti validi solisti, spesso iniziano un assolo proprio con una variazione del tema originale. E’ il caso ad esempio di Lester Young. Miles Davis era invece solito suonare il tema sempre in modo originale, diverso dall’originale. Anche lui, era molto abile nell’arte della variazione.
Del resto anche Bach coltivava l’arte dell’improvvisazione, oltre a quella della composizione. Era un virtuoso degli strumenti a tastiera (organo e clavicembalo) ed era capace di improvvisare musica su temi proposti al momento.
2. L’importanza del ritmo
Un altro aspetto comune è il rapporto con il ritmo: la musica del ‘700 spesso è basata su un ritmo stabile, rigoroso. Proprio come nel jazz, il ritmo è pulsante e privo di esitazioni.
Dobbiamo rilevare tuttavia che nella musica di Bach la pulsazione tende a spingere in “avanti”, quasi anticipando la battuta successiva. Invece il jazz si suona “indietro”, ovvero in modo più rilassato e morbido.
Questa è una delle principali difficoltà che incontrano i musicisti classici quando passano al repertorio jazz, senza averlo ascoltato abbastanza a lungo da aver interiorizzato questo modo diverso di portare il tempo.
Sebbene jazz e musica di Bach abbiano dunque un approccio diverso alla pulsazione, entrambe le danno grandissima importanza, a differenza di altri generi musicali o periodi.
Chopin, ad esempio, improvvisava al pianoforte almeno quanto Bach, ma il ritmo incerto della musica romantica, con i suoi ritenuto e rubato, rende più difficili accostamenti con la musica jazz.
3. La forma e il senso delle proporzioni
Nel repertorio jazz, la questione della forma viene risolta in modi molto diversi nelle varie epoche. Nel jazz anni ’20, spesso i brani avevano una forma molto elaborata, come ad esempio le composizioni di Jelly Roll Morton.
Negli anni ’30, con lo sviluppo delle big band, la forma ha cominciato in parte a semplificarsi, anche se alcuni compositori hanno dato grandissima importanza agli aspetti formali della musica. Alcuni interpreti di questo atteggiamento sono stati Duke Ellington, e più avanti Charles Mingus.
Negli anni ’40 ha preso piede un modo più sbrigativo di risolvere la questione della forma. La gran parte dei pezzi jazz si limitavano infatti a proporre tema-assolo-tema, in uno schema dove la parte centrale, l’improvvisazione, aveva assoluta centralità.
Anche nel jazz basato principalmente sull’improvvisazione si pone tuttavia il tema della forma, all’interno dell’assolo. L’improvvisatore cerca infatti di creare un discorso musicale logico e proporzionato, anche se composto sul momento.
Da questo punto di vista, Bach fa quello cui ogni jazzista aspira: tutto ciò che scrive è logico ed inevitabile. Anche per questo la sua musica è tanto affascinante per un musicista jazz.
4. Le differenze
Abbiamo dunque trovato che tra il jazz e la musica di Bach esistono alcune somiglianze. Forse però il musicista jazz è sedotto non solo dai punti di contatto con la musica di Bach, ma anche dalle differenze.
Per il musicista jazz nulla è davvero sicuro. Egli vive e suona nell’incertezza e nel dubbio. Ogni improvvisazione è una sfida che si può vincere (a volte) o perdere (più spesso). La musica di Bach invece è rassicurante, in tutta la sua logica e coerenza, è una musica che afferma la propria verità.

Conclusioni: mescolare Bach e il Jazz?
Il tentativo di mescolare Bach ed il Jazz ha prodotto musica il più delle volte mediocre. Ad esempio, i famosi dischi del pianista francese Jacques Loussier sono gradevoli ma non del tutto convincenti. Altre interpretazioni sono più riuscite, tuttavia il risultato è spesso forzato.
Noi musicisti innamorati tanto del Jazz quanto di Bach, non sentiamoci dunque obbligati a mescolare queste diverse passioni. Possiamo passare da una musica all’altra quando vogliamo, ed esserne stimolati ed ispirati. Quello che conta sono il piacere e le emozioni che entrambe ci regalano.
E tu, cosa pensi di questo argomento? Pensi che effettivamente ci siano dei punti di contatto tra la musica di Bach e il jazz, oppure che l’accostamento sia troppo ardito o del tutto sbagliato? Mi farà piacere conoscere la tua opinione, se vorrai scriverla nei commenti qua sotto.
Mi sembra di aver inteso che Bach, pur nella sua genialità, è ritenuto – da alcuni musicologi – un po’ fuori dal tempo per il suo interesse verso il contrappunto, piuttosto che per l’armonia e per il concetto di “monodia accompagnata”; è forse questo, allora, il motivo per cui era così propenso ad improvvisare? E’ noto che nell’ottocento il valore della partitura (scritta) era molto più vincolante per gli interprenti esecutori.
Ciao Roberto, grazie per la lettura e il commento. Non so risponderti, non conosco il dibattito dei musicologi sulla musica di Bach. Ne ho studiata tanta, ma mi sono poi dedicato al jazz… e ai dibattiti sul jazz. Posso però confermarti che tra il ‘600 e ‘800 si è andata progressivamente perdendo una certa libertà che veniva data agli interpreti, a favore di una maggior precisione della partitura. Nell’epoca di Bach ancora c’era ampia libertà, specialmente sull’esecuzione degli abbellimenti.
Mi fermo qua, dispiaciuto di non saper scendere più in profondità ma onoratissimo di avere tra i miei lettori persone appassionate di musica, che ne sanno più di me su tante, tante cose. A presto
Sono del parere che gli intrecci tra Bach e il jazz possono dare luogo a esiti più che soddisfacenti. Apprezzo molto quanto realizzato dal Modern Jazz Quartet, mentre non mi esprimo su Jacques Loussier, la cui conoscenza è davvero superficiale.
Più in generale la Third Stream Music teorizzata da Gunther Schuller ha dato vita a opere di tutto rispetto.
Leggo spesso critiche ingenerose: sul versante classico, perché dà spazio all’improvvisazione; sul versante jazz, perché europeizzante e bianca.
Eppure i dischi di Mingus, George Russell, Bill Evans, Dave Brubeck Modern Jazz Quartet e soci mi paiono più che convincenti.
Ciao Roberto, grazie per la visita e per il commento. L’accostamento tra musica classica e jazz ha prodotto anche bella musica. A me piace moltissimo il “Concierto de Aranjuez” di Jim Hall. A presto!
Molto bello! Ce l’ho in cd. Jim Hall è stato un solista dotato di tecnica e sensibilità armonica non comuni. Ho avuto anche il piacere di vederlo dal vivo in quartetto con il sassofonista Joe Lovano tanti anni fa.
Sicuramente un bel concerto! Ciao a presto
Non ho idea se Bach sia il compositore più amato dai jazzisti ma onestamente penso che l’impressionismo (per quanto lui odiasse la definizione) e le armonie di un Debussy siano state nettamente più importanti per il genere, influenzando una miriade di musicisti, da Bix Beiderbecke ad Art Tatum, da Billy Strayhorn a Bill Evans.
Per quanto riguarda Bach, penso che la sua influenza abbia prodotto anche cose molto belle ma più in quel territorio non ben definibile a cavallo tra jazz e classica che non è necessariamente third stream, come i meravigliosi ottetti di Alec Wiler, gli studi di Jimmy Wyble, o la musica di Ted Greene per citare due chitarristi straordinari.
Nel 1985, tricentenario della nascita, pubblicai su “Musica Jazz” un articolo intitolato “Bach and His Band”, che approfondiva i rapporti tra i due mondi musicali. Anche se scritto 32 anni fa, credo possa essere ancora utile. Un saluto cordiale.
Buon giorno Marcello, sono onorato della visita di uno dei massimi esperti italiani di jazz. Mi piacerebbe leggere il suo articolo, forse è disponibile online da qualche parte? Oppure potrebbe chiedere a Musica Jazz di ripubblicarlo. Grazie, a presto
Buonasera,stimolante articolo,però lo trovo troppo generico, per esempio nelle 4 premesse,
1) “Tanto una fuga quanto un improvvisazione nascono con la volontà di sviluppare un tema iniziale”. Ma questo anche nel rock, nel blues ecc.
2).”La musica del ‘700 spesso è basata su un ritmo stabile, persino rigoroso. Proprio come nel jazz, il ritmo è pulsante e teso in avanti, privo di esitazioni seconda riflessione del ritmo,” Questo più in altri generi come il rock o il funk, casomai il jazz è più flessibile proprio per l’improvvisazione.
3) “L’improvvisatore cerca infatti di dare senso a tutte le note e di non suonarne di superflue”… e che aspiri a che sia tutto “logico e inevitabile”. A parte che chiunque cerca di dare senso a ciò che suona e di non essere superluo, poi se consideriamo a quanto il medio jazzista sia prolisso (per cercare la sua strada) e che (giustamente) vari assolo ogni volta…
4) “Per il musicista jazz nulla è certo, egli vive e suona nell’incertezza e nel dubbio…. Bè insomma, se fosse così, non suonerebbe prorpio… Forse intendeva dire che per lui non c’è una verità definitiva e immutabile, è cosa diversa, no? La saluto.
Buona sera Franco, grazie della lettura e del commento attento. Parlare di musica è un piacere, per questo rispondo alle sue osservazioni:
1) Lo sviluppo tematico in molta musica non esiste affatto. Nel pop e nel rock spesso il tema non viene affatto sviluppato, ma ripetuto sempre uguale.
2) Il ritmo è certamente centrale nel Funky, anche nella musica Dance, Rap, Tecno. Senza di esso, queste musiche non esistono. Sul rock non sono molto d’accordo, in quel caso secondo me è il “suono” ad essere centrale, più che il ritmo. Ovviamente dipende caso per caso. Ad esempio, nella musica dei cantautori, italiani e non, spesso il ritmo non è poi così centrale, è più importante la parola.
3) Non credo che chiunque cerchi di non essere superfluo, certi generi musicali sono barocchi per definizione. Un certo tipo di rock progressive, ad esempio, cerca di essere sorprendente e difficile, a priori. Ma qua è questione di gusto personale… Per quanto riguarda il suo giudizio sul medio jazzista, sono d’accordo con lei!
4) Riformulo accogliendo la sua obiezione: Il musicista jazz – specie quel medio jazzista molto prolisso che tende a volte ad essere sicuro di sé oltre misura – dovrebbe lasciare un po’ di spazio al dubbio e all’incertezza. La musica ne avrebbe certamente giovamento!
Grazie di nuovo, sono ben lieto di avere le sue osservazioni tra i commenti!
Grazie per la sollecita risposta, e ha perfettamente ragione, è un gran piacere parlare di musica, per questo mi permetto di precisare
1) lo sviluppo tematico esiste e come nel rock, addirittura per come cantano differentemente da strofa strofa, e per gli assoli che spesso riprendono il tema variandolo. Poi ovviamente ci sono casi e casi, ma quello cui si riferisce è il pop più becero e moderno.
2) Lo stesso per il ritmo, per il rock è fondamentale tanto quanto il suono, comunque più del jazz.
3) Tutti vogliono dare senso alle note e non suonare superflui, è tautologico, che sia musicista barocco, progressive o jazz, altrimenti non si esprimerebbero. Cosa differente, come ha accennato, è quello che per l’ascoltatore è superfluo.
E qui stiamo parlando dell’improvvisatore jazz, che di note ne suona migliaia a pezzo, mediamente molte di più di qualsiasi altro suo contemporaneo di altro genere, con tanti schemi e abbellimenti quanto quelli del musicista barocco
PS Mi pare che Bach stia in mezzo tra barocco e classico, e che per gli abbellimenti sia proprio nel periodo classico che si arriva al massimo del manierismo in tal senso. Grazie ancora.
Non condivido assolutamente la valutazione negativa di jacques loussier che io invece apprezzo molto per le sue composizioni e che ascolto sempre con piacere (es. Bacchie).
Ciao Candido, confesso di non conoscere le composizioni originali di Loussier. La mia critica è limitata ai suoi dischi “Play Bach”, che giudico forzati e stucchevoli. Di conseguenza, non ho approfondito il resto. Grazie della lettura e del commento.
Ben fatto